Rimaste per decenni segregate in qualche angolo dimenticato della memoria dei bartender, dopo quasi un secolo i cocktail futuristi sono usciti di nuovo allo scoperto. Quelle che, a partire dalla fine degli anni 20, furono chiamate polibibite, stanno riemergendo, catalizzando l’attenzione di attenti mixologist incuriositi e desiderosi di replicare la tecnica che ha dato origine alla miscelazione made in Italy. Il fenomeno è contagioso e recluta adepti da ogni parte del Bel Paese, ma soprattutto contribuisce a riportare in auge tutta una sfilza di prodotti italici che, nella miscelazione moderna, spesso vengono ignorati. Legate al movimento artistico e culturale futurista, queste bevande mixate ottennero un discreto successo non solo in Italia, ma anche all’estero. In origine realizzate sia per puro piacere del bere, sia per favorire una maggiore convivialità tra gli avventori, furono gli stessi capostipiti del futurismo a individuarne le ricette. Si parlò da subito di autarchia, in quanto i prodotti scelti e amalgamati tra loro erano di autoctona provenienza. La lista di long drink, anno dopo anno, si ampliò, puntando su nomi evocativi e decisamente bizzarri: Avanvera, Giostra d’Alcol o ancora Rosabianca, solo per citare quelli più gettonati al tempo. Dopo questa doverosa rilettura del passato, veniamo ai giorni nostri. Complice il fermento provocato dall’Expo, un po’ ovunque nel paese si alternano eventi, manifestazioni, workshop e serate a tema. L’argomento è tornato di attualità e c’è chi ha pensato bene di scrivere un libro per ripercorrere le tappe salienti storiche delle polibibite, sottolineandone sia gli aspetti sociali, che di consumo. Autore di questo manuale è Fulvio Piccinino, navigato bartender torinese, che tra le pagine della sua opera, ‘La miscelazione futurista’, ha tracciato un vademecum sui cocktail futuristi, impreziosito da 18 ricette create in quel periodo.
"Il ritorno prepotente del vermouth, la riscoperta della miscelazione classica, l’attenzione sul Negroni, così come per alcuni amari storici, sono elementi essenziali del rilancio odierno di alcuni cocktail degli anni 30."
Ci sono tutte le premesse per far si che la mixability italiana si spinga verso una cultura del bere alternativa, corredata da una nuova formazione merceologica dei prodotti del nostro territorio. Oggi tutti conoscono a menadito i biotipi di canna da zucchero o le specie di agave, ma poi si tende a non sapere quale sia la differenza tra una vinaccia fermentata e una vergine per fare la grappa. Molti barman hanno visitato il mondo alla scoperta delle distillerie, cosa buona e giusta, eppure non hanno mai visto un opificio dove si produce vermouth o una caldaietta a vapore per disalcolare le vinacce...
Il vermouth, quindi, gioca un ruolo di primo attore in questo trend. Ma se il vino liquoroso ha già, da alcune stagioni, avviato un suo processo di consolidamento sul mercato, il fenomeno delle polibibite potrebbe fornire anche a prodotti attualmente meno noti la possibilità di mettersi in luce. Si è tornato a parlare di Nocino, Genziana, Pino Mugo e Alchermes, prodotti quasi mai usati nella mixability, inoltre, la grappa, spesso erroneamente sottovalutata dai mixologist, è la base alcolica di riferimento mentre il vermouth, grande protagonista dei drink anni 30 più facili e bevibili, deve solo continuare a supportare il suo cammino di sviluppo senza esitazioni. L’intero revival a cui si sta assistendo non lascia indifferenti un buon numero di bartender nostrani. L’idea piace e trova consensi, anche perchè molti professionisti del bancone hanno appreso il mestiere proprio maneggiando i prodotti tipici del Bel Paese. Oggi lo sforzo principale è cercare di contestualizzare le polibibite in chiave moderna. Il loro apporto è stato molto utile e ha posto le basi per nuovi trend, come per esempio la cucina molecolare. Ma soprattutto, il ritorno dei cocktail degli anni 30 è stimolato anche dalla volontà stessa della clientela italiana di scoprire e degustare i sapori tipici del bere italiano. Un concetto, questo, che si basa sulla semplicità e la naturalezza degli ingredienti, rendendoli polivalenti e versatili.
Sono quindi gli stessi avventori dei locali che spronano il rifiorire di cocktail futuristi. Molti barman desiderano raggiungere lo stesso obiettivo dei futuristi, ossia racchiudere in un drink una molteplicità di sensazioni ed emozioni particolari. In questo processo, ci si focalizza anche sull’aspetto estetico del cocktail, prestando massima attenzione alla modalità di preparazione, alla scelta del bicchiere adeguato, alla corretta decorazione, curando abbinamenti in grado di esaltarne le caratteristiche, senza trascurare il gusto finale.
Manca, quindi, una certa conoscenza storica. Un gap che con il ritorno di fiamma di questi cocktail potrà forse essere colmato. «La mixology sta gradualmente andando a riscoprire tutti i suoi momenti storici tempo fa toccò alle bevande legate al proibizionismo, ora ci si concentra sull’Italia e la sua tradizione nel bere miscelato vintage. È necessario che i barman siano molto preparati perchè le polibibite non sono, in generale, semplici da capire per la maggioranza dei clienti».
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