Un balzo enorme per il mondo del whisky. Pur apprezzatissime dagli appassionati del settore, le proposte giapponesi sono state storicamente soggette a una mancanza di regolamentazione, che ne minava la professionalità e l’integrità. Non sarà più così: il disciplinare per il Japanese Whisky è stato finalmente approvato Pur contando su una tradizione appena secolare (la prima distilleria aprì nel 1923), il whisky giapponese ha progressivamente scalato gli indici di gradimento globale in tempi piuttosto brevi: nomi come Suntory o Nikka sono trai più richiesti nelle bottigliere del mondo, forti dell’impronta da scotch e la tecnica pressoché perfetta,tanto che come segnala Fulvio Piccinino inSaperebere, a volte il prodotto è così immacolato da avere paradossalmente meno carattere. A fronte di un generale successo, mai finora si era però potuto definire davvero cosa rendesse giapponese, un whisky giapponese: se scotch, bourbon, irish e Tennessee seguono tutti un preciso disegno formale per poter essere considerati tali, per la proposta del Sol Levante si andava praticamente sulla fiducia, lasciando spazio a contraffazioni e irregolarità. A grandi linee, chiunque, ovunque avrebbe potuto distillare e imbottigliare,importando materie prime, spacciando poi la bottiglia come giapponese.Con questo spirito, la Japan Spirits & Liqueurs Makers Associationha stilato e certificato una concisa serie di norme che inquadrino il distillato, nell’ottica di “prevenire illegalità e proteggere il consumatore, contribuendo a migliorare la qualità”. L’associazione non è un organo governativo, bensì un ente riconosciuto dal governo: non può emanare leggi, ma varare regolamenti che organizzino il settore di riferimento, e tanto basta per poter parlare di una vera e propria rivoluzione nel compartospirits, che di certo impatterà il mercato di tutto il mondo. Di seguito le condizioni del regolamento, perché un whisky possa definirsi giapponese:
Uno dei cavilli su cui la problematica di fatto vive riguarda l’etichetta, strumento principale per marketing (e truffe). A questo proposito, le nuove regole stabiliscono che qualora i suddetti criteri non dovessero essere rispettati, le aziende produttrici non potranno utilizzare diciture come “Japanese whisky”, “Nihon whisky” o “Japan whisky”, né in alcun modo instillare nell’acquirente l’idea di un prodotto giapponese: sono quindi vietati nomi propri, nomi famosi, nomi di città e luoghi, bandiere e qualsiasi elemento che possa far presumere di aver rispettato i criteri di produzione.Il nuovo disciplinare entrerà in vigore il primo giorno di aprile, che coincide in Giappone con l’inizio del nuovo anno fiscale. Si tratta di una svolta incredibilmente importante, eppure ancora passibile di lacune entro le quali i produttori potrebbero insinuarsi: non ci sono riferimenti ad esempio agli ideogrammi e all’alfabeto giapponese, che potrebbero essere apposti in etichetta per confondere i consumatori. Né, ed è un punto di enorme rilievo, tutti i produttori aderiscono all’Associazione, per quanto i player principali ne siano membri: Nikka, ad esempio, in un proprio comunicato ha specificato di “sostenere l’Associazione, che pur non promulgando leggi contribuisce all’integrità del nostro sistema”, prima di sottolineare come non tutte le proposte della gamma saranno oggetto del regolamento. Il celebre (ed eccellente) Nikka from the Barrel avrà in etichetta una dicitura che specificherà come il prodotto non sia in linea con il disciplinare. grazie @beverfoodfonte: kotaku.com
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